Ispirazione Cristiana nel Diritto
A.N.A.C.
Associazione Nazionale Avvocati Cristiani
Grandi processi nella storia Il caso Verre
Verre governatore di Sicilia Nel 73 a.C. arrivò in Sicilia un nuovo governatore: Verre. Doveva rimanere, come d'uso, un solo anno.  Ma nel 73 Spartaco si mise alla testa di una rivolta di schiavi scoppiata a Capua. Dopo un fallito tentativo di dirigersi a nord, Spartaco nel 72 concentrò le sue forze in Lucania e minacciò di passare in Sicilia. I porti della Sicilia vennero presidiati.  La Sicilia aveva subito già due rivolte di schiavi: una intorno al 135 e l'altra intorno al 102. Spartaco tentò una alleanza con i pirati, ma non riuscì ad ottenere il loro appoggio per lo sbarco.  Spartaco venne sconfitto nel 71.  In queste condizioni il Senato prorogò l'incarico di governatore di Verre sia per il 72 che per il 71. Nel 70 Verre rientrò a Roma e in Sicilia arrivò regolarmente il nuovo governatore Lucio Cecilio Metello. La carriera di Verre  Verre nacque nel 115 a.C. Era figlio del senatore Gaio Verre e di una donna della gens Tadia.  Nell'84, all'età di 31 anni, divenne questore. Gli venne affidato l'incarico di collaborare con il console Gneo Papirio Carbone in Gallia Cisalpina.  A Roma era in corso una guerra civile. Il generale Silla, ritornato vincitore dall'Oriente, sostenitore della parte aristocratica, si scontrava con i seguaci del generale Mario, esponente della parte popolare. Verre comprese che le cose stavano volgendo a favore di Silla. Abbandonò Carbone, filo-popolare, e scomparve con la cassa dell'esercito (600.000 sesterzi) che in quanto questore doveva amministrare. Quando nell'81 venne aperta una inchiesta, Verre sostenne di aver lasciato la cassa a Rimini, presso il quartier generale dell'esercito, e che la sua scomparsa era dovuta ai disordini della guerra civile e al saccheggio dei soldati. Verre si schierò con Silla che lo mandò a Benevento. Silla ricompensò Verre donandogli i beni sequestrati ai proscritti, ossia ai suoi avversari politici. Nell'80 Verre venne nominato legatus dal governatore della Cilicia, Gneo Cornelio Dolabella. Quando il questore Gaio Malleolo venne ucciso, Dolabella lo sostituì con Verre che divenne pro-questore.  Dolabella nominò Verre tutore del figlio di Malleolo. Al ritorno a Roma, restò poco da consegnare ai parenti dell'ucciso. Il patrimonio di Malleolo era praticamente scomparso.  Nel 78 Dolabella venne processato per il suo governo in Cilicia. Accusatore fu Marco Emilio Scauro. Verre si presentò come teste d'accusa. Dolabella fu condannato. Verre, che era stato il braccio destro di Dolabella, venne assolto. Tuttavia preferì scomparire da Roma per qualche tempo. Nel 75 Verre si presentò alle elezioni per praetor urbanus. Venne eletto, forse con qualche broglio elettorale.  Nel 74 esercitò la pretura. Pare che le sentenze venissero trattate come al mercato.  Nel 73 gli venne assegnato mediante sorteggio il governatorato della Sicilia. Nel 72 Stenio di Terme, accusato ingiustamente da Verre di falsificazione di atti pubblici, ricorse al Senato di Roma. Il padre di Verre, anch'egli senatore, intervenne e riuscì ad insabbiare il procedimento senatoriale. Verre, nonostante il consiglio del padre, procedette ugualmente contro Stenio. Cicerone ottenne dai tribuni un decreto che consentiva a Stenio di risiedere a Roma, pur essendo stato condannato in contumacia in Sicilia.  Nel gennaio del 70 Verre rientrò a Roma. Aveva 45 anni. Poteva aspirare al consolato.  I siciliani accusano Verre  Nel gennaio del 70 a.C. le città siciliane, ad eccezione di Messina e di Siracusa, presentarono l'accusa di concussione (de repetundis) contro Verre. Il loro obiettivo era la restituzione delle somme illegalmente percepite dal governatore.  I siciliani si costituirono parte civile. Accusatore Per sostenere l'accusa i siciliani si rivolgono a Cicerone, da loro ben conosciuto e stimato in quanto era stato questore in Sicilia nel 75, ed aveva lasciato un ottimo ricordo del suo comportamento. Cicerone aveva esercitato la questura sotto il pretore Sesto Peduceo ed aveva avuto la sua sede a Lilibeo, in quanto era responsabile della Sicilia ex-cartaginese. Cicerone venne scelto anche perché proveniva dalla classe dei cavalieri. Era diventato senatore, ma non aveva particolari legami con le grandi famiglie senatorie. Era considerato un homo novus. Inoltre non era di Roma, ma di Arpino. Infine Cicerone era un avvocato di ottima fama e conosceva tutte le astuzie della procedura giuridica. Cicerone aveva 36 anni. Intendeva candidarsi per la carica di aedilis alle elezioni di luglio. Gli edili avevano la responsabilità dei lavori pubblici, delle manifestazioni sportive, della polizia urbana, dei mercati, ecc. Collegio di difesa  Il collegio di difesa di Verre era costituito da:  - Quinto Ortensio Ortalo (114-50 a.C.), patronus - Lucio Cornelio Sisenna, patronus - Publio Cornelio Scipione Nasica, advocatus.  Erano tutti membri del Senato di Roma.  Accusatore di paglia  Ortensio sollecitò Quinto Cecilio Nigro, discendente da un liberto siciliano di un Cecilio Metello e questore di Verre, a proporsi come accusatore. Secondo la procedura penale la decisione della scelta dell'accusatore spettava al tribunale. Si svolse quindi un primo processo, la divinatio, in cui il tribunale doveva indovinare chi sarebbe stato il miglior accusatore.  Cicerone riuscì a convincere il tribunale e la manovra di Ortensio per avere un accusatore di paglia fallì. Tattica dilatoria  Il presidente del tribunale Manio Acilio Glabrione era un uomo incorruttibile. Ortensio decise allora di tentare il rinvio del processo all'anno successivo quando il presidente del tribunale avrebbe potuto essere più favorevole. Iniziò quindi una tattica dilatoria ed una serie di azioni volte a controllare le prossime elezioni.  Rinvio del processo  Il 20 gennaio Cicerone indicò al presidente del tribunale in 110 giorni il tempo occorrente per l'istruzione del processo, basandosi sul fatto che questo tempo lo avrebbe portato in prossimità delle elezioni di luglio. In tal caso il processo avrebbe potuto essere utilizzato a suo favore durante la campagna elettorale. Il 21 gennaio Verre, tramite alcuni suoi amici, organizzò un'altra azione de repetundis contro un vecchio governatore della Macedonia. In questo caso l'accusatore richiese solo 108 giorni per prepararsi.  L'iscrizione a ruolo dei processi doveva essere fatta in base al tempo richiesto dall'accusa per l'istruzione. Pertanto il processo a Verre passò in coda rispetto al processo al governatore della Macedonia, che ebbe inizio il 20 aprile e terminò nella prima metà di luglio. Istruzione del processo a Verre  L'accusatore, nella procedura giudiziaria romana, poteva effettuare ispezioni, sequestrare documenti, interrogare persone, ecc. Cicerone, prima ancora che Verre arrivasse a Roma, si fece portare i libri dei conti di Verre e di suo padre ed esaminò la contabilità delle società di publicani di Roma. Ebbe la sorpresa di scoprire che le registrazioni contabili relative a Verre erano scomparse. Tuttavia riuscì a recuperarne alcune che erano rimaste in archivi privati dei publicani. Pose sotto sequestro scritture e beni di Verre. Alla metà di febbraio Cicerone partì per la Sicilia. Impiegò circa 15 giorni per arrivare. Rimase in Sicilia per tutto il mese di marzo. Cicerone si aspettava di avere il supporto di Lucio Cecilio Metello, il nuovo governatore. Questi invece si dimostrò ostile. In realtà a Lucio erano giunte notizie da Roma in relazione ad un accordo che la sua famiglia aveva raggiunto con Verre. Questi si impegnava a finanziare la prossima campagna elettorale dei Metelli in cambio della loro protezione nel processo. Cicerone dovette fare le indagini praticamente da solo. Aveva pochi collaboratori tra cui il cugino Lucio. All'inizio di aprile ripartì per Roma. Questa volta fece il percorso tra Vibo Valentia ed Elia in nave, accorciando notevolmente il tempo di percorrenza.  Il 20 aprile si presentò in tribunale, secondo quanto stabilito. Anche se il processo era stato rinviato l'accusatore era tenuto a presentarsi al tribunale nella data convenuta. La mancata presenza dell'accusatore avrebbe annullato, secondo la procedura romana, il processo. Cicerone fa cenno, ma in maniera abbastanza oscura, a difficoltà incontrate durante il ritorno. Non è chiaro se alluda a tentativi di bloccarlo sulla strada per Roma. Scelta dei giurati  Tra il 14 e il 26 luglio si scelsero i giurati per il processo a Verre. Cicerone ricusò alcuni dei candidati e Ortensio fece lo stesso. Alla fine fu nominata una giuria che Cicerone giudicò composta da uomini integri. Tra i giurati erano i seguenti senatori: - Lucio Cassio - Marco Cecilio Metello - Marco Cesonio - Gaio Claudio Marcello - Quinto Cornificio - Marco Crepereio - Quinto Lutazio Catulo Capitolino (120-61 a.C.), console nel 78, censore nel 65, avversario di Cesare nelle elezioni del 63 per la carica di pontefice massimo  - Quinto Manlio - Publio Servilio Vatia - Publio Sulpicio - Quinto Titinio - Gneo Tremelio Scrofa.  Elezioni Il 27 luglio ci furono le elezioni. Dalle elezioni uscirono i seguenti vincitori: - Consoli: Ortensio, l'avvocato di Verre, e Quinto Cecilio Metello, fratello di Lucio, governatore della Sicilia dopo Verre. - Pretore per i processi de repetundis e quindi futuro presidente del tribunale: Marco Cecilio Metello, un altro fratello di Lucio. Marco era membro della giuria nel processo contro Verre. - Aedilis: Cicerone. Gli eletti sarebbero entrati in carica a gennaio.  Se Ortensio fosse riuscito a rallentare o rinviare il processo di qualche mese, l'assoluzione per Verre sarebbe stata garantita. Il processo - Actio prima  Il 5 agosto del 70 a.C. ebbe inizio il processo a Verre. L'accusatore aveva a disposizione molti giorni per esporre i fatti e altrettanti erano a disposizione della difesa.  Cicerone spiazzò completamente la difesa perché anziché esporre l'accusa chiamò immediatamente a deporre i testimoni. L'arpinate con la sua rinunzia guadagnò molto tempo e impedì alla difesa di chiedere una proroga per l'approfondimento delle indagini preliminari. Per 8 giorni i testimoni si avvicendarono davanti al tribunale. Le testimonianze risultarono schiaccianti. Verre si diede ammalato e rinunciò ad assistere alle sedute. Ortensio decise di tacere e di rinviare il suo intervento alla actio secunda. A metà agosto l'actio prima era giunta al termine. Il processo venne rinviato al 20 settembre per l'actio secunda. Esilio volontario di Verre  La speranza di Verre di un rinvio all'anno seguente svanì.  Alla metà di settembre, prima della ripresa del processo, Verre lasciò Roma e si imbarcò per Marsiglia in volontario esilio. Rimarrà a Marsiglia per 26 anni tra le sue statue e i suoi gioielli, trafugati prima della condanna.  Condanna Alla ripresa del processo non ci fu bisogno di procedere con l'actio secunda, la fuga di Verre era una esplicita ammissione di colpevolezza.  Ortensio riuscì a contenere il risarcimento in tre milioni di sesterzi, una cifra modesta rispetto a quanto era stato estorto da Verre. Tanto per avere un raffronto basti ricordare che Cicerone durante il suo anno di governatorato della Cilicia guadagnò legalmente più di due milioni di sesterzi.  Cicerone non volle insistere nel perseguire Verre. Il suo comportamento venne criticato e si parlò, ma ingiustamente, di corruzione. I siciliani furono molto grati verso Cicerone al quale inviarono del grano. Cicerone lo distribuì alla plebe romana.  Epilogo Gaio Verre venne ucciso nel 43 a.C. per ordine di Marco Antonio che lo inserì nelle liste di proscrizione. Verre non svolgeva alcuna attività politica. La sua colpa fu l'aver rifiutato di consegnare a Marco Antonio dei preziosi vasi di Corinto, che avevano attirato l'attenzione del triumviro. Marco Tullio Cicerone venne ucciso anch'egli nel 43 a.C., il 7 dicembre, per ordine di Marco Antonio che lo aveva inserito nelle liste di proscrizione. Cicerone svolse fino alla fine attività politica. La sua colpa fu l'aver combattuto per la repubblica romana. Ottaviano, il futuro imperatore Augusto, sconfiggerà Marco Antonio e prenderà come collega Marco, figlio di Cicerone.  Processato per concussione  Verre venne accusato di concussione (de pecuniis repetundis) per le attività illegali commesse durante il periodo in cui era stato governatore (praetor) della provincia di Sicilia (anni 73-72-71 a.C.). La concussione era definita come estorsione e indebita appropriazione di beni, commessa nell'esercizio dei pubblici poteri a danno dei provinciali, anche senza arricchimento dell'autore. La denominazione latina si riferisce al fatto che i popoli delle province potevano esigere delle somme dagli ex-governanti se questi o i loro figli avevano commesso degli illeciti patrimoniali durante il periodo in cui erano stati in carica.  I provinciali erano gli abitanti delle province romane, ossia delle zone protette dai romani, al di fuori dell'Italia. L'accusato era normalmente il governatore della provincia. Per il reato di concussione venne stabilito un tribunale speciale, presieduto da un praetor, ossia da un senatore che aveva lo stesso titolo dell'accusato. Le sanzioni possibili per il reo di concussione erano le seguenti: - perdita dei diritti di elettorato attivo e passivo; - perdita del rango privilegiato di appartenenza, ad esempio esclusione dalla classe senatoria; - proibizione di rappresentare in giudizio persone non congiunte; - esilio (aqua et igni interdictio); - risarcimento dei danni (litis aestimatio).  Competeva al tribunale determinare quali pene applicare e in quale misura.  Il procedimento per il reato di concussione venne regolato con numerose leggi: - Nel 149 a.C. venne emanata la Lex Calpurnia de pecuniis repetundis. Questa legge (si trattò in realtà di un plebiscito) fu rogata, in contrasto con la nobiltà senatoria, dal tribuno della plebe L. Calpurnio Pisone Frugi. Essa istituì una quæstio perpetua de pecuniis repetundis, la cui presidenza fu affidata al prætor peregrìnus. La legge stabilì, inoltre, che la condanna consistesse nella restituzione di quanto illecitamente maltolto o dell'equivalente in denaro. Una quaestio perpetua era un tribunale permanente giudicante in materia penale pubblica; presentava tre caratteristiche fondamentali: l'accusa era sostenuta da un privato cittadino; il giudizio definitivo era formulato da una giuria di cittadini; il magistrato si limitava a presiedere la giuria, senza partecipare al voto. Le quaestiones perpetuae erano presiedute dal pretore e ciascuna aveva competenza relativa ad un solo delitto.  - Nel 123 a.C. la Lex Sempronia iudiciaria del tribuno Gaio Sempronio Gracco (154-121 a.C.), fratello di Tiberio Sempronio Gracco (162-133 a.C.), stabilì che: - i giudici fossero scelti tra seicento cavalieri e trecento senatori, togliendo in questo modo il controllo del processo ai senatori, alla cui classe apparteneva l'accusato; - non fosse possibile il rinvio (ampliatio) del processo, meccanismo che allungava i tempi favorendo la difesa; la ampliatio consisteva nel fatto che, se un terzo dei giurati dichiarava di non avere le idee chiare in ordine al delitto sottoposto alla sua cognizione (sibi non liquere), il processo si celebrava nuovamente. L'ampliatio poteva aver luogo un numero indeterminato di volte; - la sentenza dovesse essere emessa dopo un unico dibattito, evitando la duplicazione del processo in due actiones.  - Nel 122 a.C. venne promulgata dal tribuno Manio Acilio Glabrione (155-? a.C.), collega di Gaio Gracco, la Lex Acilia repetundarum, che modificò la Sempronia. - Nel 108 a.C. il tribuno Gaio Servilio Glaucia (?-100 a.C.) promulgò la Lex Servilia repetundarum, che cambiò ulteriormente la Sempronia.  In forza delle modifiche apportate: - i senatori e i loro figli furono esclusi dalla funzione di giudice; - la funzione di giudice venne affidata esclusivamente ai cavalieri; - venne reso obbligatorio un secondo dibattito (actio secunda) da tenersi non oltre il terzo giorno dalla fine del primo; - la sentenza doveva essere emessa solo dopo la conclusione del secondo dibattito; - i latini che si fossero presentati a testimoniare in favore dell'accusa sarebbero stati ricompensati con la cittadinanza romana. Da notare che i due fratelli Gracchi e Glaucia non morirono di morte naturale.  Il punto chiave della legge era la composizione della giuria. Ci furono diversi tentativi di riformare la legislazione a favore dei senatori: - Nel 91 con la Lex Livia iudiciaria di Marco Livio Druso, abrogata nello stesso anno dal console Lucio Marco Filippo. - Nell'89 con la Lex Plautia iudiciaria del tribuno Marco Plauzio Silvano, abrogata da Lucio Cornelio Cinna nell'86. - Nell'81 il dittatore Silla riuscì nell'intento con la Lex Cornelia de provinciis, che consentiva solo ai senatori di far parte delle giurie. I cavalieri furono quindi estromessi dai processi per concussione. Fu nel rispetto di questa legislazione che venne avviato il processo contro Verre alla presenza dei soli senatori.  Dopo la conclusione del processo a Verre, venne approvata la Lex Aurelia iudiciaria del tribuno Lucio Aurelio Cotta. Le giurie furono nuovamente riviste: - un terzo dei giurati spettò ai senatori; - un terzo ai cavalieri; - un terzo a coloro che pur avendo il censo dei cavalieri non erano ancora stati nominati tali dai censori. I senatori avevano perso il privilegio di essere giudicati dai loro pari.